Nella, l’allieva di Casorati che moltiplicava i tormenti

28/06/2019
Rassegna stampa
La Stampa

L’autoritratto come racconto della propria vita. Esistenza e pittura diventano una soglia permeabile, un confine trasparente nella produzione artistica di Nella Marchesini, la prima allieva di Felice Casorati. Alla pittrice di origine toscana, ma pienamente torinese per vissuto e formazione, la Gam dedica negli spazi della Wunderkammer la mostra «Nella Marchesini. La vita nella pittura» che inaugura stasera alle 18 per aprire i battenti al pubblico domani e chiuderli il 29 settembre. Ventisei opere dal 1920 al 1953, perlopiù donate dagli eredi alla Galleria d’arte moderna e in parte date in prestito da collezionisti privati, che insieme ai carteggi lasciati dalla pittrice, permettono di «rivivere una stagione artistica, quella a cavallo tra gli anni Venti e Cinquanta, feconda di fermenti per la nostra città», commenta Riccardo Passoni, direttore della Gam.

L’autrice consegna la sua autobiografia alla pittura, fedele custode dei passaggi cruciali della sua vita. Lavora sulla sua immagine scrutandola con occhio analitico, si addentra nelle sue sembianze, per cederle alle donne dei suoi quadri e raccontare gli anni da «scolara» da Felice Casorati, il cenacolo culturale calamitato da Piero Gobetti, il suo primo studio, la guerra, la maternità, il rifugio con i figli in Valchiusella, la morte delle sorelle e del marito, il pittore Ugo Malvano.

Arrivata a Torino da giovanissima, insieme alle sorelle Dadi e Maria entra a far parte del circolo gobettiano. Dunque Nella è subito immersa in un fervido clima intellettuale. Viaggi, frequentazioni e una vasta collezione di cartoline di opere d’arte moltiplicano le influenze della sua cifra stilistica, dapprima antica e rinascimentale, in seguito più aperta alla modernità internazionale e ai francesi Cézanne, Manet.

«È una pittura improntata sul dato biografico», racconta Alessandro Botta, curatore della mostra insieme con Giorgina Bertolino. «Gli episodi drammatici della sua esistenza – aggiunge - toccano la sua vita e segnano la sua pittura, come lo sfollamento a Drusacco quando il marito di origini ebraiche doveva nascondersi o la scomparsa prematura della sorella Maria». Tra le sue opere ci sono gli autoritratti classici, davanti al cavalletto, ma più spesso Nella si dipinge all’interno delle sue composizioni. In «Donne sulla terrazza» (1922-23) traspone sulla tela la sua immagine accanto alle sorelle e alla madre, negli anni Quaranta recupera gli autoritratti realizzati negli anni Venti e li inserisce nei nuovi dipinti come in «Due figure» (1945); in «Autoritratto nel paesaggio di Drusacco» (1943) invece si raffigura più anziana.

Emblematico il triplice autoritratto: «Tre donne» del 1952 raffigura tre volte lei, negli anni Venti, negli anni Quaranta e nel 1950. Non manca il sottofondo allegorico. La stessa presenza ripetuta più volte sembra evocare i drammi vissuti, la morte delle sorelle e quella del consorte. Allegoria della vita che cresce in lei è «Ireos», dipinto nel 1931 quando è incinta della prima figlia Laura, in cui si ritrae mentre dà acqua alla pianta.

«Nella non datava i quadri – racconta Botta - nel 2012 si è iniziato un lungo lavoro per catalogare i suoi dipinti. Partendo dal criterio stilistico e incrociando vari scritti siamo riusciti a riorganizzare le opere nel tempo». Da una lettera che la sorella Maria scrive a Carlo Levi si è arrivati a datare il dipinto «Giovane col cappello di paglia» all’estate del 1929. Nella missiva si racconta infatti che Nella era in villeggiatura a Cervo Ligure e seguiva le persone per strada per farne i ritratti. Il volto affusolato di quel giovane ricorda quelli di Modigliani.